14 km circa
Percorrenza: 7.30 ore comprensive di alcune soste
Dislivello: 950 metri
La seconda tappa del Giro del Monviso che vi proponiamo è la più dura (volendo la si può dividere in due parti aggiungendo una giornata all’escursione) ma è anche probabilmente la più affascinante. Oltre ai soliti scenari mozzafiato, infatti, si attraversano aree naturali molto diverse fra loro: dai pendii erbosi che scendono verso Pian del Re agli aspri valloni glaciali sottostanti il rifugio Giacoletti, dallo stretto Sentiero del Postino che si arrampica a mezza costa ai vasti prati punteggiati di rocce e marmotte oltre il confine francese. Il dislivello è minore rispetto alla tappa precedente ma forse, a causa dei molti saliscendi e di alcuni ripidi strappi, si fa sentire di più sulle gambe. La tappa poi è particolarmente lunga perchè in alcuni tratti occorre prestare molta attenzione e rallentare il passo: il già citato Sentiero del Postino, con alcuni tratti attrezzati comunque facili da superare, ed ovviamente il Buco di Viso su cui torneremo più avanti. Ma per avere le idee più chiare, cominciamo con la descrizione.
Si parte dal rifugio Sella, nelle cui vicinanze ci eravamo fermati la sera precedente. L’alba vista da qui è uno spettacolo irripetibile, col sole rosso che sorge sulla pianura padana e illumina nelle giornate serene la parete est del Monviso. Alla destra dell’edificio un evidente cartello ci indica la prosecuzione del Giro di Viso, sul sentiero che da questo punto prende la sigla di V-26. Il primo tratto è piuttosto rilassante e permette di mettere in moto le gambe in vista delle fatiche che arriveranno più avanti. Dobbiamo infatti valicare il Colle di Viso, posto a cavallo tra il Monviso e il Viso Mozzo, tramite una mulattiera perlopiù pianeggiante che solo sul finire inizia a scendere con decisione tra le rocce. Il panorama cambia improvvisamente, con l’erba che torna a farsi spazio fra le rocce nell’ampia conca glaciale. Si scende con alcuni tornanti verso il lago Chiaretto, dal caratteristico colore turchese. Lo aggiriamo, scendendo fino a 2200 metri slm, e continuando a seguire i segnali del CAI con una leggera salita raggiungiamo un importante bivio. Alle nostre spalle il Monviso mostra uno scorcio della sua parete nord, sotto di noi si apre la Valle del Po: si distinguono le sorgenti del fiume situate a Pian del Re con il contiguo parcheggio. Il giro “classico” del Monviso prevede di raggiungerle, allungando un po’ il percorso e scendendo fino ai 2020 metri slm, ma noi scegliamo l’alternativa che passa per il rifugio Giacoletti. Seguiamo quindi il sentiero V-14, sulla sinistra, e ricominciamo la salita.
In questo tratto c’è un discreto dislivello da superare ed i numerosi tornanti non facilitano il compito. Si aggirano altri piccoli laghi e infine si raggiunge una pietraia con chiare indicazioni: dopo un’ultima piccola “arrampicata” tra le rocce arriviamo ai 2741 metri slm del rifugio Giacoletti, circa un’ora e mezzo dopo aver incontrato la deviazione principale per Pian del Re.
Nascosto fino all’ultimo tra i massi, il Giacoletti guarda la parete nord del Monviso ed è l’ideale punto di partenza per itinerari alpinistici e arrampicate sulle vicine Punta Udine e Punta Venezia. Nelle vicinanze infatti stacca anche la scorciatoia del Couloir del Porco, un sentiero per escursionisti esperti che taglia una parte del giro e porta direttamente sul versante francese; noi però non l’abbiamo provata. Siamo a circa 3 ore dalla partenza e ci concediamo una meritata pausa. Puntando ancora a nord, oltre il rifugio, ci inoltriamo tra i picchi che ci circondano e scendiamo in maniera piuttosto ripida quello che sembra veramente lo stretto corso di un ghiacciaio. Abbiamo trovato qualche sprazzo di neve sul cammino ed occorre fare molta attenzione alle rocce rese scivolose dall’acqua che cola. I segni bianco-rossi del CAI sono sempre presenti ma, in tratti come questi, servono più che altro per non perdere l’orientamento ed ognuno può cercare la traiettoria più comoda e sicura tra le rocce. Nell’ultimo segmento la discesa si fa ancora più tecnica, con l’ingrossarsi dei rigagnoli d’acqua e l’affiorare di terra bagnata.
A circa 2500 metri di quota la discesa termina e parte improvvisamente il celebre Sentiero del Postino, segnalato da una targa e da numerosi marchi bianco-rossi, indicato per EE (Escursionisti Esperti) in quanto è abbastanza stretto – ma solo marginalmente esposto – e presenta un paio di tratti attrezzati. Il primo lo troviamo subito, con una scaletta che ci aiuta a superare un dislivello verticale ed una corda a cui appoggiarsi per gli ultimi passi. Poi il sentiero prosegue, ripido e tortuoso, una sottile striscia di terra che taglia il monte a mezza costa. C’è un’altra scaletta, stavolta per superare un lastrone, poi la strada spiana e attraversa una pietraia. Il sentiero dura circa mezz’ora ed è uno spettacolo per gli occhi, oltre che divertente ed emozionante da affrontare: le asperità non sono tra le più difficili ma come sempre siate prudenti ed abbiate particolare cura se soffrite di vertigini.
Incontriamo poi un nuovo bivio, dove la strada si congiunge col percorso “classico” che si allunga fino a Pian del Re. Prendiamo a sinistra, in salita tra le rocce del Pian Mait, verso il refuge Viso, sul versante francese. Mancano ancora un paio d’ore all’arrivo, la salita è abbastanza lunga e regolare e ci porta, tra matasse interminabili di filo spinato residuo della guerra, fino ai 2882 metri del Buco di Viso individuabile con una piccola deviazione sulla sinistra dopo aper superato un edificio fatiscente. Volendo si può proseguire sulla strada principale per scollinare presso il Colle delle Traversette, ma il Buco di Viso è un’esperienza senza dubbio affascinante. Lungo circa 75 metri – si necessita di una buona torcia perchè il tratto centrale sarà buio – il traforo vanta il primato del più antico fra quelli alpini; fu scavato infatti nel 1480 per iniziativa del Marchese di Saluzzo e poi rimase impraticato per molti anni. L’altezza varia dai due metri al metro e cinquanta, occorre quindi in certi punti chinarsi; l’ingresso è ampio mentre l’uscita sul versante francese è stretta e parzialmente bloccata da neve e massi. Durante la stagione estiva essa viene ripulita per cui, a meno che non troviate indicazioni contrarie in merito, sarà sufficiente abbassarsi un po’ e magari togliersi gli zaini e passarli per mano, se ingombranti.
Usciti all’aperto, noi abbiamo trovato un corridoio sulla destra del muro di neve accedendo così alla sottostante Valle del Guil. A questo punto si può dire che le fatiche della giornata sono finite: per giungere al rifugio si attraversa in discesa l’ampia vallata, ignorando l’indicazione sulla destra per il rifugio Granero, un po’ più lontano in fondo alla Val Pellice, e seguendo il corso dei ruscelli che scendono a valle. Ci sono dei segni di colore giallo sulle rocce, non sempre visibili, ma possono aiutare a seguire il percorso che ad ogni modo coincide spesso col corso dell’acqua. Il refuge Viso poi è perfettamente visibile dall’alto, collocato ai bordi di una bella spianata erbosa, per cui nel dubbio basterà dirigersi in quella direzione; arrivati in fondo la segnaletica si farà più accurata e ci fornirà già indicazioni per la giornata successiva. Per il momento ci fermiamo in questo che sembra veramente un angolo sperduto di mondo, col Monviso che spunta a sud ed innumerevoli marmotte che escono senza paura dalle tane.
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